.Sardo, giovane condottiero posto a capo dell'esercito, diventato sovrano dell'isola, dopo aver sedato le lotte intestine che tormentavano da lungo tempo le genti di Sardegna, conduce l'isola verso un'epoca di sviluppo e di benessere economico e culturale senza uguali, dove la giustizia è garantita come presupposto per un futuro di pace e di prosperità. Con la costruzione  di un'imponente flotta.......equipaggiata con esperti marinai elimina la terribile piaga della pirateria che affligge le coste del regno di Sardegna, ormai ricettacolo di genti oppresse che anelano a vivere in libertà e apre nuove rotte commerciali sino a spingersi oltre le colonne d'Ercole verso terre lontane del continente africano. Nel regno di Sardo raggiunge il suo massimo splendore quella meravigliosa civiltà, senza pari in tutto il bacino del Mediterraneo, di cui sono una testimonianza imperitura le caratteristiche  e maestose torri di pietra, i nuraghi. Solo un evento inesplicabile decreterà la fine di quella civiltà che non si ripeterà mai più nell'isola e la scomparsa di Sardo è avvolta nel mistero, ma le sue qualità, le sue doti, la sua figura vengono divinizzate al punto da essere considerato un Dio protettore delle genti di Sardegna e il suo culto si protrarrà a lungo sino alla dominazione dei Romani che lo indicheranno col nome di Sardus Pater.
 
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......Si è certi che la civiltà nuragica si sia sviluppata dal 1500-1800 a.C. (inizio dell'età del bronzo?) sino al 535 a.C. (già età del ferro), periodo in cui l'isola divenne un possedimento di Cartagine? .......................Eminenti archeologi di fama internazionale fanno risalire la civiltà nuragica e, pertanto, l'edificazione di quelle costruzioni chiamate nuraghi, proprio a quel periodo. La cosa straordinaria è che, a mio parrere, non ci sono tracce di evoluzione dalle abitazioni del periodo neolitico di forma architettonica semplice alle costruzioni di forma complessa come i nuraghi, cioè stupisce la repentinità con cui sono apparsi i nuragici dalle nebbie turbinanti dell'oscura preistoria. Ripeto: si resta sconcertati dal fatto che si passi da una condizione di cultura neolitica dalle complesse caratteristiche tribali a una civiltà nuragica con una architettura monumentale sorprendente. Tutto sarebbe avvenuto in un arco di tempo breve, in quanto questo sviluppo fondamentale dell'architettura sembra del tutto privo di un retroterra. Ma che prove hanno, mi domando, per affermare che i nuraghi sono stati costruiti in quel periodo e non antecedentemente? Si ricorre al perspicace raziocinio dell'archeologia ufficiale elaborando una soluzione di un'ingegnosità a dir poco impressionante: "Gli unici resti databili rinvenuti all'interno dei nuraghi (resti di pasti, ceramiche, ecc...) risale a quell'epoca e l'idea che l'edificio sia antecedente sembra assai improbabile". .................... Questi archeologi e storici poggiano il loro ragionamento anche sul fatto che se quelle popolazioni chiamate "nuragiche" avevano utilizzato intensivamente quelle costruzioni allora ne consegue che sono state loro ad averle costruite. Ma non c'è alcun nesso ovvio o necessario per fare queste affermazioni. È altrettanto possibile, anzi molto più probabile, che i "nuragici" avessero semplicemente trovato quegli edifici e vi si fossero installati.  In questo caso sì che è lecita la domanda: chi furono veramente i costruttori di questi monumenti, molti dei quali di imponente maestosità che richiedono per la loro realizzazione notevoli conoscenze di tipo architettonico e ingegneristico, completamente assenti in una società di tipo agropastorale? Quale era il loro utilizzo? Come mai queste costruzioni sono sparse in tutto il territorio dell'isola? Appare ovvio che chiunque abbia realizzato quelle straordinarie costruzioni apparteneva a una civiltà raffinata, ben organizzata, prospera e progredita da un punto di vista tecnologico, tutte cose mancanti a quelle comunità o tribù dedite alla caccia, alla pastorizia e a un'agricoltura quasi primordiale che calpestarono l'isola nel periodo successivo al XVIII secolo a.C., periodo in cui, come abbiamo già detto, gli storici ortodossi fissano lo sviluppo della civiltà nuragica. Di recente  in alcune zone dell'isola sono state trovate prove inconfutabili che i nuraghi avessero una funzione calendaristica, e in altre ancora rappresentassero al suolo mappe stellari. E questo dimostrerebbe che avevano grande dimestichezza con l'astronomia e l'orologio che utilizzavano era l'orologio naturale delle stelle. Nella disposizione al suolo dei nuraghi si sta notando una correlazione con la volta celeste che gli esperti, impegnati a setacciare tra la polvere dei millenni, si sono lasciati sfuggire, fissati com'erano con la terra che avevano sotto i piedi.........È allora lecita la domanda: non fu forse l'isola, in un periodo antecedente a questo, sede di una grande civiltà di cui si sono, o pensiamo si siano perse per sempre le tracce? Ribadisco che a me sembra che la pretesa edificazione dei nuraghi dal XVIII secolo a.C. sino al 535 a.C sia un'anomalia evidente nel contesto sociale di quel periodo. ................ Per quanto detto e per altro ancora l'autore è fermamente convinto che la storia del popolo sardo, non solo quella "nuragica" ma soprattutto quella che potrebbe definirsi "prenuragica", di cui praticamente sappiamo poco o nulla, sia tutta da scrivere o da riscrivere e pertanto ritiene che le date proposte dall'archeologia ortodossa siano da rivedere completamente. Nel frattempo l'autore, men che neofita dell'archeologia e delle sue implicazioni, si propone ai lettori con una fantasiosa storia che si svolge in un periodo non definito, ma certamente, come sopra già evidenziato, molto antecedente al XVIII secolo a.C......  E la storia è frutto solo della fantasia e pertanto non ha la pretesa di avere una qualche valenza da un punto di vista della correttezza scientifica, quantunque accolga le molteplici intuizioni di eminenti studiosi quali il prof. Massimo Pittau o quelle dell'ing. F. Bruno Vacca e utilizzi le scarne fonti di storici greci e romani, il tutto visto alla luce di valutazioni personali che trovano però riscontro nei ritrovamenti archeologici sparsi in tutta l'isola, come appunto i nuraghi. La vicenda narrata nel romanzo non ha la pretesa di voler dare una soluzione ai problemi sopra sollevati, ma forse potrebbe, e l'autore se lo augura, essere uno stimolo verso gli addetti ai lavori per scrivere o meglio riscrivere una volta per tutte la storia di quella che a mio parere, e lo ribadisco, è stata una grande civiltà, forse unica per la sua originalità in tutto il bacino del Mediterraneo, che molte migliaia di anni fa ha calpestato il suolo di questa splendida isola e la cui civiltà ha toccato anche terre distanti quali le Baleari, l'Etruria, l'Africa Settentrionale, l'Asia Minore e terre ancor più lontane (come Zimbabwe), lasciando tracce indelebili, tra l'altro, nella lingua dei popoli che le abitavano (vedi nomi e soprattutto toponimi e antroponomi, di quelle regioni, comuni con quelli sardi e di cui si è certi della loro origine nuragica  ( si veda di Massimo Pittau: "La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi " ediz: Editrice Libreria Dessì)

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...............Il silenzio fu improvvisamente rotto da un furibondo latrare di cani e lingue di fuoco squarciarono le tenebre della notte alzandosi alte nel cielo tra dense colonne di fumo. «Aiuto! Aiuto!» lacerarono l'aria urla terrorizzate, «aiuto! ci assalgono!»  «Al fuoco! al fuoco!» si unirono altre voci cariche di orrore e di angoscia. Il suono di un corno si levò alto e disperato. Era quello il segnale di pericolo mortale lanciato disperatamente da una sentinella agli abitanti della città. Alla luce delle fiamme che avanzavano devastatrici alle porte dell'abitato apparve un trambusto indescrivibile. Ombre lunghe si accavallavano e si intersecavano tra urla e bagliori sinistri: figure di donne con in braccio i loro piccoli fuggivano disperatamene in direzione opposta all'avanzata del fuoco, seguite dai figlioli più grandicelli, mentre uomini con le armi in pugno accorrevano da tutte le parti. E tra lo sfrigolio degli arbusti in fiamme si levavano alte nel cielo urla di disperazione e di terrore.  «Seguitemi, compagni!» gridò un guerriero brandendo una lunga e robusta spada, rilucente al chiarore della luce diffusa dalle fiamme dell'incendio, stretta nella possente mano, mentre nell'altra teneva uno scudo circolare di cuoio borchiato di lamine metalliche che si dipartivano radialmente dal centro,  «difendiamo le donne e i bambini!» Portava sul capo un elmo, provvisto di corna, da cui fuoriuscivano capelli chiari fluenti sulle spalle larghe e muscolose; e sul viso allungato, ricoperto da una leggera barba rossiccia, splendevano due occhi verdi saettanti. Era quello il capo degli armati posti a difesa della città. In un baleno si unirono a lui tutti i guerrieri della guarnigione. E si udirono funesti suoni metallici di armi accompagnati da grida selvagge di rabbia, di accanimento, di incitamento e urla disumane di dolore. La battaglia fu violenta e rapida. All'improvviso il latrare dei cani cessò e cessarono anche le invocazioni. E si udì distinto lo scalpitio di cavalli in fuga che si allontanavano precipitosamente nel fitto del bosco. Calò un agghiacciante e irreale silenzio rotto dal crepitio del fuoco che stava per invadere l'abitato.  «Presto, non c'è un attimo da perdere! spegniamo il fuoco!» urlò il guerriero dagli occhi verdi togliendosi  l'elmo e gettandolo a terra assieme allo scudo, «orsù, le donne soccorrano i feriti!» Con la spada in mano corse verso un folto cespuglio di lentischio e con un fendente ne staccò un ramo. Inguainò l'arma e si avventò sull'incendio seguito da tutti i suoi compagni, che a loro volta si erano muniti anch'essi di rami di lentischio. Una moltitudine di guerrieri e di giovanetti formarono una catena che si schierò con la ferma volontà di impedire che l'incendio si propagasse all'interno dell'abitato, le cui case, dai muri di pietra, avevano per la maggior parte il tetto in legno e canne. Se non avessero fermato l'avanzata del rogo sarebbe stata la fine! La fine della città! E lottarono, lottarono disperatamente e strenuamente contro le fiamme che divoravano alberi secolari, in un calore opprimente tra il fumo soffocante. L'alba li colse stremati che stavano domando gli ultimi focolai di un incendio che aveva minacciato di distruggere le loro case, i loro averi, i loro cari, piccoli e vecchi impossibilitati a fuggire. Con i volti neri dal fumo e arrossati dal calore, madidi di sudore, i più con palesi scottature sul corpo, altri con ferite ancora sanguinanti, segni evidenti di una cruenta lotta con un avversario deciso a tutto, si guardarono attorno, muti, con gli occhi attoniti, ma con il cuore gonfio di gioia per aver vinto quella battaglia, la battaglia che aveva deciso le sorti della loro sopravvivenza. Al suolo giacevano dieci corpi. Erano quelli dei lro assalitori, coloro che nella notte avevano portato proditoriamente un attacco fulmineo. I combattenti, stremati, si avvicinarono in silenzio e osservarono i cadaveri.............Il capo dei guerrieri si fermò sopra un dirupo, guardò verso l'alto ad osservare gli ingordi e abietti rapaci; poi rivolse lo sguardo verso la valle sottostante, lontano, lontano, laggiù dove inizia l'orizzonte. Il suo sguardo era perso, perso nel nulla; il suo cuore era triste, la sua mente sembrava cercare la risposta al perché di tanta tragedia. «Sardo! cosa ne facciamo?» domandò un guerriero con il volto segnato profondamente dal fuoco e dalla battaglia, indicando i cadaveri. Il capo dei guerrieri si voltò. «Raccogliamoli e portiamoli al tempio!» rispose con amarezza  ........

......... I due cavalieri si avvicinarono lentamente l'uno verso l'altro, guardinghi, squadrandosi a vicenda. Entrambi cavalcavano a pelo, erano armati di lancia e di spada e si proteggevano con uno scudo circolare borchiato di bronzo e sul capo calzavano un elmo bicorne. «Fatti sotto, figlio di una cagna e di un serpente!» urlò Agasòne con spavalderia all'indirizzo di Sardo e fulmineamente gli scagliò addosso il giavellotto. Lo strale sibilando si conficcò nello scudo del giovane condottiero, lo passò da parte a parte e la punta si fermò quasi a ridosso della sua corazza. .................. E ora i due nemici si trovavano l'uno di fronte all'altro con le spade in mano. ..................  Sardo, come se intuisse ciò che passava nella mente del suo nemico, ne percepì l'attimo di debolezza e comprese che quello era il momento per porre fine al duello. Simulò un attacco frontale e all'improvviso si fermò. Agasòne rispose roteando la spada come una girandola ad altezza del capo di Sardo e questi repentinamente si abbassò. Il colpo di spada staccò di netto un corno dell'elmo di Sardo, che con prontezza felina conficcò la spada nel fianco di Agasòne.. ....Il Capo di Ulzièri non avvertì nessun dolore ma si sentì svuotato di ogni energia. Le gambe non lo ressero più; barcollò per alcuni istanti e infine crollò a terra rovinosamente e le mani, che non avevano più la forza di stringere, lasciarono cadere la spada al suolo. Agasòne fu pervaso in tutto il corpo da un fremito e inconsciamente si portò le mani sulla ferita da cui fuoriusciva copioso il sangue. «Lascia che ti aiuti,»disse Sardo avvicinandosi al suo nemico ormai impotente, «lascia che possa fermare la fuoriuscita del sangue.» «Sardo, poni fine alla mia vita.» supplicò Agasòne con voce strozzata. «No. Agasòne! Tu puoi vivere ancora. Al nostro segito abbiamo il sacerdote Unòfre, esperto nell'arte della medicina, che può fermare l'emorragia e riportarti alla vita.» «Se hai un po' di umanità, uccidimi,» supplicò ancora il guerriero ferito, con il pallore della morte sul volto. «No, no! Io non ti uccido,» sussurrò Sardo ponendo un braccio sotto la testa del ferito mentre con l'altro, sollevato, sollecitava l'intervento di Unòfre nel disperato tentativo di salvare la vita del morituro, «tu devi vivere per vedere la nostra isola una volta per tutte rappacificata.» «Quando non splendono più i raggi della ragione,» disse rantolando Agasòne, «quando tutto decade tristemente, meglio morire e dormire un sonno senza risveglio, piuttosto che vivere ancora, se l'anima stessa della vita se n'è andata per sempre.» E il suo viso si contrasse in una maschera di dolore, strinse le mani e sembrò compiere uno sforzo immane per far sì che la vita abbandonasse il suo corpo. E la vita lo abbandonò. Nella valle cadde un silenzio spettrale rotto all'improvviso da striduli versi lanciati da famelici avvoltoi dal lugubre aspetto che volteggiavano alti nel cielo. Sardo abbassò le palpebre di colui che era stato il suo più acerrimo nemico. Si alzò lentamente e a passi lenti, col volto contratto che tradiva un'immensa tristezza, si avvicinò al suo Ilos che aspettava a poca distanza, saltò sul suo dorso e si allontanò dal campo di battaglia accompagnato dagli sguardi dei guerrieri ammutoliti dei due eserciti. ...................

............. Il sole era alto e terso, di un azzurro più splendente del solito, quando cominciarono ad addensarsi all'orizzonte, ad occidente, nubi cupe e minacciose. E queste avanzarono lentamente e inesorabilmente verso il disco di fuoco. In lontananza la cappa plumbea cominciò ad essere solcata da serpenti di luce vivida color viola e indaco e iniziarono ad udirsi tuoni cupi e sordi. ...........Il sole fu oscurato dalla cappa impenetrabile di nubi nero fumo e venne il buio squarciato da lampi che si susseguivano con ritmo e intensità sempre crescente e l'aria e la terra veniva scossa da un fragore sempre più assordante e ormai continuo. E si alzò un vento, dapprima leggero e poi sempre più intenso. E si alzarono altri venti provenienti da tutte le direzioni e la loro forza crebbe  costantemente e inesorabilmente. ......... I venti prima fischiarono e poi ulularono impietosamente e l'aria turbinava con forza devastatrice abbattendo e sradicando ciò che restava degli alberi, ormai ridotti a scheletri inermi. E il furore dei venti si abbatté anche sulle case e i tetti furono strappati e sollevati come piume e la gente si rannicchiò a ridosso dei muri implorando gli Dei di avere pietà di loro. Onde imponenti, alte oltre cento metri, si abbatterono sulle coste dell'isola con furia devastatrice e spazzarono via i villaggi costieri, abbandonati dalla gente in preda al terrore. ............. E i fiumi si ingrossarono e poi strariparono e tutte le terre furono sommerse e la gente abbandonò le proprie case con tutti i loro averi e fuggì verso la cima delle colline a piedi, a cavallo o in groppo agli asini caricati con le poche cose che erano riusciti a raccogliere in fretta e furia. Ma in molti casi le colline non si rivelarono rifugi sicuri perché le acque arrivarono sino alla cima infrangendo così, purtroppo, ogni loro speranza di salvezza. Parte della gene riuscì a raggiungere le catene montuose più alte dell'isola, che rappresentavano l'unica via di scampo da quell'immane catastrofe che stava sconvolgendo l'intero regno di Sardegna. Invocarono gli Dei di proteggerli, ma videro che la spietata e irresistibile tempesta non si placava e a loro sembrò di non essere uditi dagli Dei, anzi si convinsero di essere stati da loro abbandonati. Ormai alla mercé della furia impietosa degli elementi implorarono il nome del loro sovrano: "Sardo, salvaci tu" . E molti si salvarono. Quando tutto cessò, ai pochi sopravvissuti si presentò chiara, in tutta la sua crudezza, la dimensione dell'immane tragedia che aveva cancellato per sempre il loro passato, quel passato indimenticabile che sarebbe rimasto vivo nei loro cuori e che avrebbero sempre raccontato ai loro figli e così ai figli dei figli sino a diventare, quel passato, un mito, una leggenda. Si guardarono tutto intorno e videro solo desolazione e morte. Ai loro occhi si presentava ora un presente orribile, inquietante, un presente che lasciava presagire un futuro incerto, oscuro, pieno di incognite. E si domandarono, ancora una volta, perché gli Dei li avevano abbandonati e non riuscirono a trovare in nessun modo, ripercorrendo con la mente i momenti più significativi della loro vita, una risposta alla loro angosciosa domanda. Sì, conclusero, gli Dei li avevano abbandonati senza nessuna ragione. Non restava che rivolgersi a lui, a colui che li aveva sempre protetti, aiutati e governati nella giustizia e che aveva fatto conoscere a loro una vita nella pace, nel benessere e in libertà e che, anche in questa terribile catastrofe, li aveva salvati. S', ci si poteva rivolgere solo a lui, al loro sovrano, al loro Padre: Sardo, luce degli Dei sulla terra di Sardegna. Invocarono nuovamente quel nome. Implorarono il Suo aiuto per affrontare una nuova vita, un nuovo futuro. E quel nome si tramandò di padre in figlio, per sempre, ed entrò nelle coscienze e nei cuori delle genti di Sardegna, perché di queste Egli incarnava lo spirito più genuino, Egli rappresentava la parte più sana, la parte migliore della Terra di Sardegna. Sardo era colui che in vita aveva sempre saputo capirli e solo Lui ora poteva proteggerli. Sardo era diventato ormai il loro Dio.......
 

Nella foto è riportata l'ubicazione dei nuraghi, delle tombe dei giganti e degli edifici religiosi presenti attualmente nella zona di Cuccurada in territorio di Mogoro (OR). Nella figura a destra è riportata una porzione di cielo che comprende le stelle della zona denominata Ursa Maior (Orsa Maggiore) secondo la mappa del Polo Nord Celeste, realizzata per l'equinozio dell'anno 1950. Si confronti la disposizione sul terreno dei nuraghi cerchiati nella foto con la figura a destra! Nel raffrontare le immagini si tenga presente che nel periodo in cui furono costruiti i nuraghi (per l'archeologia ufficiale dal XVIII sec. a.C. sino al VI sec. a.C., per l'autore molto prima), la disposizione delle stelle nel cielo per un osservatore sulla Terra era un po' diversa, non sostanzialmente, da quella attuale per effetto del moto ciclico di precessione (che si compie in 25.776 anni) e per effetto dell'oscillazione dell'inclinazione dell'asse terrestre che varia da 22,1° a 24,5° compiendo un ciclo completo in 41.000 anni. In breve, la disposizione delle stelle nel cielo, rispetto ad un osservatore sulla Terra, varia, in maniera sempre più evidente, con il trascorrere degli anni, dei secoli, dei millenni!

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A partire dall'alto verso il basso, la prima foto rappresenta una gazzella rufifrons, la seconda una antilope wasbock e la terza una navicella del Museo Archeologico di Cagliari. Si raffronti la protome della navicella con la testa della gazzella e dell'antilope! Così pure si raffronti la testa di un'altra varietà di  gazzella   nella quarta foto con la protome della navicella della quinta foto. Questi animali vivono e vivevano solo nell'Africa australe come, per l'appunto, la gazzella, l'antilope e altri ancora come l'impala, il kobo e il dongo, animali che non vivono e non sono mai vissuti in Sardegna anche in tempi remoti. La sesta foto rappresenta uno scimpanzé (Pan troglodytes) che vive nell'Africa equatoriale e subtropicale. Di certo anche lo scimpanzé non è mai vissuto in Sardegna! Tutto questo può accreditare l'ipotesi secondo cui i Sardi nuragici avessero frequentazioni con quelle terre lontane.

ll costo del romanzo per singola copia, in Italia, è di 20 Euro più le spese di spedizione. Per l'acquisto di un numero superiore di copie sono previsti sconti. Si evidenzia che i diritti d'autore  di tutte le opere dell'autore sono integralmente devoluti al sostegno di progetti di sviluppo per l'Eritrea e l'Etiopia  attraverso il G.M.A. (Gruppo Missioni Asmara) (vedere:l'Africa ha ancora sete) Per l'acquisto del romanzo, e per ulteriori informazioni, ci si può  rivolgere direttamente alla Casa  Editrice  PTM Via dei Mestieri Zona artigianale (09095)   Mogoro(OR)

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